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mercoledì 29 gennaio 2014

IL PROBLEMA DELL'ITALIA? IL CITTADINO NON E' ARMATO...

Da anni si dice che l’Italia è instabile, inefficiente e poco competitiva sui mercati internazionali. Così gli organismi sovranazionali e i mercati finanziari giustificano le pressioni sul Paese per attuare le loro ricette liberiste. I dati sviluppati recentemente dal prof. Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e docente all’Università Cattolica di Milano, dimostrano invece molto chiaramente che il crollo economico in Italia può essere attribuito quasi esclusivamente all’austerità.

In una serie di grafici presentati alla Stampa Estera di Milano la scorsa settimana, Fortis ha denunciato l’errore di pensare che l’Italia soffra la crisi più di altri per via della mancanza di competitività, e che per questo motivo il Paese debba fare le riforme strutturali per essere all’altezza degli altri. La realtà è che nonostante i problemi rappresentati per esempio dalla burocrazia inefficiente, dal sistema politico instabile e dalle infrastrutture spesso carenti, l’Italia ha numerosi settori economici forti e un alto livello di patrimonio finanziario privato.


Il secondo punto è molto importante, perché il grande debito pubblico dell’Italia viene sempre preso a pretesto per le richieste di tagli, liberalizzazioni e privatizzazioni. Il problema è che misurare il debito pubblico in termini di Pil non ha senso, in quanto fornisce un quadro distorto del paese; in realtà il debito pubblico italiano è cresciuto molto meno di quello degli altri paesi europei e anche degli Stati Uniti dallo scoppio della crisi finanziaria globale, e in termini monetari il debito pubblico della Germania è ora più grande di quello italiano, mentre quello della Francia è solo leggermente più piccolo.

Il primo grafico presentato dal prof. Fortis mostra il fatturato dell’industria italiana (escluso il settore edile). Si vede che dopo la fase acuta della crisi internazionale nel 2008-2009, l’export (linea verde) è tornato ai livelli pre-crisi, mentre le vendite sul mercato interno (linea rossa) sono crollate a partire dalla metà del 2011, proprio quando comincia l’austerità “made in Europe”.

Il secondo grafico mostra l’andamento dell’industria per il mercato estero, paragonando l’indice con quelli della Germania e della Francia. In termini di esportazioni, i tre paesi si sono ripresi in modo molto simile, con l’Italia che va perfino un po’ meglio degli altri.

Dunque il crollo dell’attività economica in Italia avviene a partire dal momento in cui iniziano le megafinanziarie imposte dalla Bce – ricordiamo tutti la lettera dettagliata di Draghi. Con l’austerità iniziata alla fine del governo Berlusconi e poi continuata con gusto da Mario Monti, le manifatture italiane sono scese a livelli più bassi di quelli visti dopo il crac finanziario del 2008.

Non è un problema di competitività dell’Italia, o di un paese che non ha saputo reagire alla crisi. Si tratta semplicemente di una ricetta sbagliata applicata sotto pressioni esterne che ha portato a risultati disastrosi.

Il prof. Fortis sottolinea la forza delle esportazioni italiane in generale. L’Italia infatti è il secondo paese più competitivo per le esportazioni a livello mondiale secondo l’indice UNCTAD/WTO (UNCTAD=Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo). E’ uno dei pochi paesi con la bilancia commerciale in attivo ed è leader in numerosi settori, non solo quelli più conosciuti come l’alimentare, l’abbigliamento e l’arredamento, ma anche in vari settori della meccanica e dell’ingegneria.

I dati presentati indicano chiaramente che la politica attuale dell’austerità sta distruggendo l’economia italiana, come avviene dovunque essa venga attuata. Pochi sono disposti a dirlo esplicitamente, ma la conclusione è evidente: occorre abbandonare il sistema dell’euro e tornare ad una politica basata sull’investimento pubblico nelle infrastrutture e nei settori industriali avanzati.
Considerare la decadenza dell’economia italiana inevitabile, come fa la Fiat di Marchionne annunciando la fine della produzione di auto per il consumo di massa, vuol dire arrendersi alla distruzione deliberata dell’industria e del mercato interno, distruzione candidamente confessata da Mario Monti come effetto consapevole delle misure europee.

FONTI QUI E QUI

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