Un altro regalino alla lobby bancaria. Lo Stato è generoso con i colossi del credito; dai cittadini pretende solo tasse. Sarà per il Natale che si avvicina, ma Intesa Sanpaolo e Unicredit potranno beneficiare della rivalutazione delle quote di Bankitalia: un’operazione da quattro miliardi di euro.
Se non si tratta di un vero e proprio regalo, poco ci manca. Il governo Letta prima si affida alla Cassa depositi e prestiti per dare un po’ di ossigeno alle imprese, limitando però a zero i rischi per le banche intervenendo sui titoli a rischio, e ora si concentra sulla rivalutazione delle quote di partecipazione che frutterà altri quattrini ai giganti del credito.
Per chi non vuole pensar male, il piano d’azione proteggi-banche ha
l’obiettivo di garantire agli istituti di credito un po’ di liquidità
extra da destinare alle famiglie e alle piccole e medie imprese.
Un’iniezione di fiducia per l’economia malata. Ma chi è pronto a
scommettere che la nuova liquidità finirà davvero in tasca alle famiglie
strozzate dalla crisi? Di sicuro, invece, c’è il decreto legge per la
rivalutazione delle quote delle banche nel capitale di Bankitalia. Due i
cardini del provvedimento: le banche potranno avere al massimo una partecipazione del 5 per cento nella Banca d’Italia, il cui capitale – ecco il secondo punto – subirà un aumento che lo porterà a valere tra i 5 e i 7,5 miliardi di euro.
Aumenta il valore della Banca d’Italia e, di conseguenza, anche
quello delle quote detenute delle maggiori banche italiane che,
costrette a cedere la parte che eccede il 5 per cento, possono incassare
parecchi soldi. Pubblici, ovviamente. E, a proposito di pubblico, anche il governo ci guadagnerebbe, circa un miliardo, con l’utile di capitale. Tutti felici e contenti. Soprattutto Intesa Sanpaolo che
è il maggior azionista della Banca d’Italia con il 42,4 per cento di
quote. Secondo quanto previsto dal decreto, la banca guidata da Carlo
Messina dovrà scendere al 5 per cento di partecipazione entro due anni,
ossia dovrà vendere il 37,4 per cento che adesso, però, vale di più. Quasi tre miliardi di euro.
Pagati, tra l’altro, dalla Banca d’Italia perché, come si legge nel
testo del provvedimento, Bankitalia “può acquistare temporaneamente le
proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto
le medesime”.
Non va male neanche a Unicredit che detiene il 22,1
per cento di Banca d’Italia, per un valore che si aggira attorno al
miliardo e mezzo di euro. Anche qui, stesso discorso. Il gruppo bancario
deve cedere il 17,11 per cento per arrivare a quota 5 punti percentuali
di partecipazioni che a bilancio, oggi, valgono solo 284 milioni di
euro. Con la rivalutazione diventa circa un miliardo e 200 milioni. Il
guadagno, a conti fatti, si attesterebbe attorno al miliardo di euro.
Favori alle lobby o meno, Intesa e Unicredit incasseranno un po’ di
soldi. Da decifrare, invece, la situazione di Monte dei Paschi che ha in
carico il 2,5 per cento di Bankitalia per un controvalore di 188
milioni. Molto, anzi tutto, dipenderà dalla rivalutazione di Banca
d’Italia. Se arriverà a quota 7,5 miliardi, allora anche la banca senese
potrà sorridere, diversamente se di fermasse a 5 miliardi, Mps dovrebbe
correre ai ripari e svalutare la quota di Bankitalia di oltre 60
milioni.
Chi ci perde sicuramente è Banca Carige che dovrà svalutare dai 200
ai 300 milioni di quote di Bankitalia. L’ex presidente, Giovanni
Berneschi, aveva attribuito alla partecipazione del 4 per cento un
valore troppo alto, di quasi 900 milioni. Necessità legata al momento,
in cui l’istituto genovese voleva aumentare il suo patrimonio. Tirando
le somme: la rivalutazione del capitale dell’istituto di via Nazionale e
il conseguente tetto del 5 per cento di partecipazioni, giocherà a
favore dei due maggiori gruppi bancari italiani. Tanto per ricordarlo, i
soldi in ballo sono quelli del Tesoro, quindi di tutti. Le banche,
invece, sono pur sempre istituti privati e dovrebbero guadagnare dal
mercato, senza l’aiuto del governo.
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