La legge non prende di mira solo le manifestazioni e le proteste, ma interviene duramente anche nei confronti della vita sociale: prevede l’espulsione delle prostitute dai centri urbani e il divieto di bere alcolici in pubblico, in un paese in cui il botellòn è diventato un abitudine per i giovani che non hanno certo i soldi per frequentare costosi locali alla moda. Ma il ministro degli Interni Jorge Fernandez Diaz ha pensato anche a inserire misure contro gli scioperi dei tassisti o dei trasporti pubblici.
Proprio mentre un tribunale europeo – quello dei Diritti Umani – sta obbligando Madrid a scarcerare militanti dell’Eta e del Grapo dopo la bocciatura di una legge che aumentava abusivamente le pene detentive, il governo si dota di un nuovo sistema repressivo che estende a tutto il paese la filosofia emergenzialista da sempre adottata contro i movimenti sociali e politici baschi. Non serve neanche più una giustificazione – come quella della necessità del contrasto della lotta armata dei baschi o dei gruppi spagnoli antifascisti – per eliminare ogni forma di tolleranza nei confronti delle proteste da alcuni anni in crescita ma che finora si sono limitate a forme tutto sommato soft seppur continue e a volte dai grandi numeri.
La “ley de seguridad ciudadana” – 55 articoli che sostituiranno la legge precedente, varata nel 1992 e denominata ‘Ley Corcuera’ dal nome del ministro socialista che la promosse - costituisce una esagerazione così evidente in un contesto pure contraddistinto da una democrazia vigilata e incompleta che gli stessi socialisti del Psoe hanno ribattezzato il provvedimento di ‘repressione del cittadino’ definendolo “improprio di un sistema democratico”. Assai più duri i movimenti sociali e i partiti di sinistra. Il comunista Julio Anguita – ex coordinatore generale di IU – ha detto a Radio Euskadi che la Spagna sta vivendo un “colpo di stato incruento” e che la legge che serve a mantenere l’ordine pubblico è “l’anticamera del fascismo e dell’orrore”.
Esattamente 38 anni fa il presidente del governo Arias Navarro annunciò in lacrime in tv che il dittatore era morto. La sua breve frase – “Espanoles, Franco ha muerto” – rimase nella storia. Ma a decenni di distanza il fantasma del caudillo aleggia ancora nel paese stretto nella morsa del Fondo Monetario e delle Commissione Europea.
Ad ottobre il commissario europeo ai Diritti Umani, Nils Muiznieks, criticò il governo spagnolo per il suo ricorso ad un "uso eccessivo della forza" per reprimere manifestazioni pacifiche, e denunciò la continuazione dell’utilizzo della tortura da parte dei vari corpi di polizia e una buona dose di omertà che impedisce la punizione di coloro che negli apparati di sicurezza si macchino di abusi. In Catalogna ad esempio otto Mossos d’Esquadra – la polizia autonoma locale – sono sotto accusa per un pestaggio che causò la morte di un giovane imprenditore – ma difficilmente verranno puniti adeguatamente, così come coloro che hanno ammazzato il giovane basco Inigo Cabacas a Bilbao dopo una partita di calcio. Ma tra le critiche e i rimbrotti delle istituzioni europee e l’adozione di provvedimenti reali contro gli abusi da parte di Madrid ce ne passa. Anche perché tutti i governi europei stanno in qualche modo varando controriforme delle leggi sul diritto di manifestazione che pongano un freno alle crescenti proteste contro i tagli e l’austerità.
Più volte alcuni spezzoni dei movimenti sociali hanno denunciato il giro di vite e il tentativo da parte delle classi dirigenti di rendere di fatto impossibile la protesta e l’opposizione se non in forme poco più che simboliche. Ma se vorrà salvaguardare il diritto di manifestazione e di espressione il cosiddetto ‘movimento degli indignados’ e gli altri movimenti politici e sociali dovranno fare un salto di qualità, e in fretta. Prima che sia troppo tardi.
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