Ambrose Evans Pritchard, analista del giornale britannico “The
Telegraph” commenta gli allarmi di Napolitano sui “Forconi” e le
minaccie non tanto velate di Draghi, che non offrono risposte alle
tensioni sociali ma solo imperativi impossibili. Non si può rimanere in
recessione e disoccupazione di massa quando le soluzioni esistono e
sono a portata di mano: la protesta sta diventando un movimento
anti-Euro.
In Italia gli eventi stanno volgendo al peggio. Il presidente Giorgio
Napolitano ha lanciato l’allarme su possibili “tensioni sociali e
disordini diffusi” nel 2014, mentre la lunga recessione si trascina.
Coloro che vivono ai margini vengono coinvolti in “atti di protesta
indiscriminata e violenta, verso una forma di opposizione totale”.
Il suo ultimo discorso è una vera e propria Geremiade. Migliaia di
aziende sono “sull’orlo del collasso”. Grandi masse di persone prendono
il sussidio di disoccupazione o rischiano di perdere il posto di lavoro.
L’altissimo tasso di disoccupazione giovanile (41%) sta portando verso
un pericoloso stato di alienazione.
“La recessione sta ancora mordendo duro, e c’è la sensazione diffusa
che sarà difficile sfuggirle, e trovare il modo per tornare alla
crescita” ha detto.
Ma ora, quale potrebbe essere la causa di tutto questo? Potrebbe
avere qualcosa a che fare con il fatto centrale e prioritario che
l’Italia ha una moneta sopravvalutata del 20% o più, all’interno
dell’Unione Monetaria Europea: che è intrappolata in un sistema di cambi
fissi stile anni ’30, gestito da una banca centrale anni ’30, che sta
lì a guardare (per motivi politici) mentre l’aggregato monetario M3
ristagna, il credito si contrae e la deflazione incombe?
Napolitano non offre alcuna risposta. Ex stalinista, che ha
applaudito all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 (un peccato
giovanile), Napolitano da tempo ha manifestato il suo fervore ideologico
a favore del progetto UE. Egli è per natura incapace di mettere in
discussione le premesse dell’unione monetaria, quindi non aspettatevi
nessuno spunto utile dal Quirinale su come uscire da questa impasse.
Egli ammette che la crisi della zona euro “ha messo a dura prova la
coesione sociale”, ma lascia la questione in sospeso, e la sua
argomentazione incompiuta, più sul descrittivo che sull’analitico.
Senza arrivare al punto di lanciare l’allarme sul rischio che corre
lo Stato italiano stesso, ha detto che la crescente minaccia delle forze
insurrezionali deve essere affrontata. La legge deve essere
rigorosamente rispettata. Il paese deve andare avanti con disciplina.
“L’Europa ci sta guardando”, ha detto.
Napolitano è allarmato, e ha ragione di esserlo. La rivolta dei
“Forconi” ha preso una svolta inquietante per le élite dell’Italia.
Durante l’ultima manifestazione di massa a Torino la polizia si è tolta i
caschi, come manifestazione di simpatia.
Questo sta diventando un movimento anti-UE. Uno dei leader dei
Forconi è appena stato arrestato per essere salito agli uffici
dell’Unione europea a Roma e aver strappato giù la bandiera blu e oro
dell’Europa.
Dove porti tutto questo nessuno lo sa. Secondo Citigroup nel 2014
l’Italia resterà bloccata in depressione con una crescita dello 0.1%, di
nuovo a zero nel 2015, e allo 0.2% nel 2016. Se è così, ben otto anni
dopo la crisi, la produzione in Italia sarà ancora del 10% sotto
l’ultimo picco, una performance di gran lunga peggiore di quella avuta
durante la Grande Depressione.
Anche se la zona euro incontrasse una ripresa nel corso dei prossimi
tre anni o giù di lì, il meglio che l’Italia possa sperare è la
stabilizzazione su livelli di disoccupazione di massa – al 20% se si
considera l’altissimo livello di lavoratori Italiani scoraggiati (numero
tre volte superiore alla media UE) che sono usciti fuori dalle
statistiche. La domanda è quanto tempo la società potrà tollerare tutto
questo. Nessuno di noi sa la risposta.
Per ora l’Italia ha evitato un ritorno agli “anni di piombo”, il
terrorismo tra gli anni ’70 e i primi anni ’80, quando la stazione
ferroviaria di Bologna fu fatta saltare dai fascisti e l’ex premier Aldo
Moro fu sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse. Ma questo tipo di
violenza non è poi così lontano come la gente pensa. Nel 2011 il capo
dell’agenzia fiscale Equitalia è stato quasi accecato da una lettera
bomba di matrice anarchica. Da allora ci sono stati ripetuti casi di
attacchi dinamitardi.
La mia ipotesi è che ad un certo punto ci sarà un incidente – un po’
come lo scontro tra le truppe francesi e i portuali a Brest nel 1935,
quando un lavoratore fu colpito a morte con il calcio di un fucile,
mettendo in moto degli eventi che infine costrinsero Laval alle
dimissioni e fecero uscire la Francia dal Gold Standard.
A coloro che continuano a insistere che l’Italia deve stringere la
cinghia e recuperare competitività tagliando i salari, vorrei obiettare
che questo è matematicamente impossibile, in un clima di ampia
deflazione o quasi deflazione in tutta l’UEM.
La ragione dovrebbe essere evidente a tutti, ormai. Non è possibile
permettere allo stock di debito nominale di salire su una base nominale
in contrazione. Una politica del genere fa sì che la traiettoria del
debito aumenti in maniera esponenziale. Negli ultimi tre anni il debito
Italiano è già aumentato dal 119% al 133% del PIL, in gran parte a causa
delle politiche di austerità fiscale.
Sotto le attuali politiche UEM questo rapporto presto sfonderà il
140%, nonostante l’avanzo primario del bilancio Italiano – un livello
oltre il punto di non ritorno per un paese senza moneta sovrana o senza
una propria banca centrale. Tale è il potere dell’effetto denominatore.
Giusto per essere chiari. Non credo che l’Italia debba lasciare
l’euro come prima opzione. Ci sono altre misure che dovrebbero essere
prese prima, se non altro per costruire un contesto politico e morale
favorevole.
L’Italia può cambiare la sua strategia diplomatica, spingendo per un
cartello degli stati debitori del Club Med a leadership francese che
prenda il controllo della BCE e della macchina politica dell’UEM. Hanno i
voti, e la piena autorità legale basata sui trattati, per forzare una
strategia di reflazione che potrebbe cambiato tutto, se solo osassero.
Questo è più o meno il nuovo piano di Romano Prodi, ex premier
Italiano e “Mr. Euro”, che ora sta sollecitando l’Italia, la Spagna e la
Francia a unirsi, piuttosto che illudersi di poter fare da soli, e
“sbattere i pugni sul tavolo”.
L’economista premio Nobel Joe Stiglitz riprende il tema su Project
Syndicate , dicendo: “Se la Germania e gli altri non sono disposti a
fare il necessario – se non c’è abbastanza solidarietà per far
funzionare la politica – allora l’euro potrebbe dover essere abbandonato
per salvare il progetto europeo”.
Ieri, al Parlamento europeo, Mario Draghi della BCE ha avvertito che
l’uscita dall’UEM porterebbe ad una svalutazione del 40% e a una crisi
che metterebbe qualsiasi paese in ginocchio, ancor più brutalmente di
quella che si deve affrontare adesso. Questo è sempre lo stesso
argomento che viene portato avanti in difesa dei regimi di cambio fissi,
sia del Gold Standard nel 1931, che dello SME nel 1992, o
dell’ancoraggio argentino al dollaro nel 2001. E’ stato dimostrato
falso, anche nel caso dell’Italia negli anni ’90, quando la svalutazione
ha funzionato benissimo.
Draghi si sofferma sul trauma immediato, ma ignora gli effetti molto
più corrosivi di una crisi permanente. I paesi possono infatti
recuperare molto velocemente se il tasso di cambio si sblocca. Si
potrebbe ugualmente sostenere che ci sarebbe una marea di investimenti
in Italia nel momento in cui il paese prendesse risolutamente il toro
dell’euro per le corna e ristabilisse l’equilibrio valutario.
In ogni caso, la tesi di Draghi presuppone che la BCE lascerebbe
accadere una svalutazione del 40%, anche quando le potenze del nord
hanno un forte interesse ad assicurare un’uscita ordinata dell’Italia?
La BCE potrebbe intervenire sui mercati FX per stabilizzare la lira per
un paio di mesi, fino a quando la situazione si calmasse. Questo
eviterebbe gli eccessi, eviterebbe delle perdite rovinose per il blocco
dei creditori e degli esportatori tedeschi, ed eviterebbe una crisi da
deflazione in Germania, Olanda, Finlandia e Francia.
Quello che Draghi sta implicitamente affermando (senza volerlo), è
che la BCE si comporterebbe in maniera spericolata, punendo l’Italia per
il gusto di farlo, anche se questo potrebbe rendere l’intera prova
peggiore per tutti. Sarebbe stato bello se un deputato gli avesse
chiesto perché mai la BCE dovrebbe fare una cosa del genere.
Quello che sembra certo è che nessun paese democratico sopporterà uno
stato perdurante di semi-recessione e disoccupazione di massa, quando
esistono delle alternative plausibili.
FONTE: THE TELEGRAPH
TRATTO DA: STMPALIBERA
FONTI QUI E QUI
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