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mercoledì 29 gennaio 2014

LA SOLUZIONE PER LA CRISI GIOVANILE IN GRECIA E' LA SCHIAVITU'?

Una “modesta proposta” per risolvere il problema della disoccupazione giovanile (almeno in Grecia) arriva dal Centre of Planning and Economic Research (KEPE), che ha proposto una misura alquanto controversa, che qualcuno ha già etichettato come schiavitù

Secondo quanto riporta Greek Reporter la proposta del centro, che lavora sotto la supervisione del Ministero dello Sviluppo Regionale, prevede che le aziende possono assumere giovani disoccupati fino a 24 anni senza corrispondere loro uno stipendio per un anno, nel tentativo di dare loro un incentivo all’assunzione di dipendenti tra i più giovani: nella sostanza si propone l’abolizione del salario di base per un anno. In aggiunta il KEPE ha proposto anche l’”esportazione” di giovani disoccupati, poiché allo stato attuale le aziende non sembrano comunque in grado di assorbire le folte schiere di giovani in cerca di lavoro (per non parlare dei meno giovani).
Questa misura, per quanto disperata, risulta avere almeno un senso: il dramma della disoccupazione in Grecia è stato particolarmente tragico per i giovani, dove il tasso di disoccupazione sfiora il 60 per cento. Ancora più grave però è il tasso di disoccupazione di lungo periodo, che raggiunge il 71 per cento, mentre il 23 per cento dei giovani non ha mai lavorato.

I disoccupati di lungo periodo, ovvero chi non è stato impiegato per un anno o più, sono soggetti ad una veloce dissipazione del proprio capitale umano: ciò deriva dal fatto che le nozioni che le persone imparano a scuola o sul posto di lavoro finiscono per non essere più al passo con i tempi oppure ad essere dimenticate a causa del non uso, come i muscoli di un atleta costretto al riposo forzato, per esempio a causa di un infortunio, al termine del quale dovrà affrontare un percorso riabilitativo prima di tornare alle gare (e quindi a “produrre”). Percorso che, certamente, non è a costo zero.

Questa situazione deprime la crescita economica di lungo periodo di un Paese, ma soprattutto spreca le risorse investite nella formazione del lavoratore, che dovrà ricominciare più o meno da lontano quanto più a lungo è stato fermo. Per questo motivo nei Paesi più avanzati viene richiesto ai disoccupati di seguire corsi di formazione, in modo tale da mantenere in allenamento le proprie skill ed essere pronto ad affrontare il moderno e agguerrito mercato del lavoro con le giuste armi in mano.
La proposta del KEPE mira a incentivare questo allenamento: le imprese avrebbero in questo modo manodopera a basso (pardon, nullo) costo e potrebbero rimanere in vita sul mercato (comunque evitando di sprecare il know-how aziendale), in attesa della ripresa economica che pare debba manifestarsi quest’anno. I giovani potrebbero intanto mantenersi in allenamento e sperare che quando la situazione economica sarà migliorata l’azienda possa decidere di assumerli in pianta stabile (o almeno pagando loro qualcosa).

In alternativa, probabilmente perché si dubita che in Grecia vi siano ancora aziende in grado di assumere dipendenti quantunque gratis, secondo il KEPE, il governo dovrebbe incentivare i giovani a cercare lavoro all’estero in quei paesi, specie nel nord ed est Europa, dove vi è una teorica fame di lavoratori: in questo modo, oltre a dare sollievo alle statistiche, i giovani potrebbero fare esperienze che potrebbe risultare utili al loro ritorno in patria quando la situazione economica dovrebbe essere meno grave.

La Grecia, come noto, viene fuori da ben sei anni di recessione, iniziati a causa dei buchi contabili malamente nascosti dal governo nel decennio precedente e poi aggravati dalle misure di austerità imposte dalla Troika formata dall’Unione Europea dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo monetario internazionale, che però non hanno risolto il grosso dei problemi greci, mentre le questioni vagamente girate in positivo potevano essere affrontate più in fretta e con una spesa più modica (attualmente siamo a 240 miliardi di euro spesi, e la calcolatrice forse dovrà essere rispolverata entro primavera) se l’Europa non si fosse lasciata prendere dai vendetta divina verso la comunque accertata truffa dei conti pubblici.

In altre parole si sarebbe potuto risolvere il problema di uno stato come quello greco (corrotto inefficiente e gonfiato di impiegati pubblici) con una spesa inferiore senza far affondare l’economia ellenica, ma si è preferito dare una punizione esemplare che ha gettato i suoi bacilli nel resto d’Europa invece che stroncare l’infezione sul nascere.

È dal 2011 che in Grecia si spera in una ripresa economica ed il Fondo monetario internazionale ha effettivamente previsto un ritorno alla crescita, per quanto modesta, nel 2011, nel 2012 e nel 2013. Speranza vana: anche il triennio precedente si è chiuso in profondo rosso come il precedente. Non solo: il debito pubblico, nonostante due default, è ancora in maggiore in Europa in rapporto al prodotto interno lordo, il paese è caduto dalla scorsa primavera in una deflazione molto pericolosa (per quanto stia restituendo un po’ di potere d’acquisto a chi ancora ha un salario), mentre la disoccupazione resta alle stelle.

È forse quest’ultimo il problema più importante da affrontare nonché la conseguenza primaria dell’austerità germanica (per fortuna in silenziosa ritirata): resta tuttavia dibattuto se l’istituzione di una sorta di schiavitù temporanea nonché di una tratta dei disoccupati greci in Europa possa essere l’effettiva soluzione a questo dramma. Quantomeno la modesta proposta non è il cannibalismo. Almeno per ora.

FONTE: INTERNATIONAL BUSINESS TIMES

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