Le sconvolgenti rivelazioni del boss pentito Carmine Schiavone sullo smaltimento clandestino in vaste zone della Campania di rifiuti tossici e radioattivi, non possono fare a meno di farci riflettere sui veri responsabili di questa criminale ecatombe ambientale. Non mi sto riferendo soltanto alle responsabilità “materiali” dei clan che per decenni hanno prosperato con il business dei rifiuti, con la complicità e la connivenza di industriali e piccoli esponenti locali della politica.
Esistono,
infatti, responsabilità ben maggiori: le responsabilità di quelle alte
cariche dello Stato e delle istituzioni che, pur sapendo come stavano le
cose, hanno taciuto, nascondendo per anni al popolo italiano la verità,
non avviando le bonifiche necessarie e occultando tutto agli occhi
dell’opinione pubblica con l’imposizione del Segreto di Stato.
In Italia, oltre ad essere tutti schedati, controllati e intercettati come in pochi altri paesi al mondo, siamo anche vittime di una sistematica occultazione della verità su tutte le questioni più rilevanti, con l’indiscriminata applicazione del Segreto di Stato, una abominevole pratica che è stata applicata anche in merito alle dichiarazioni di Carmine Schiavone, che, verbalizzate nel 1993, vennero secretate dal primo Governo Prodi nel 1997, rimanendo tali per sedici lunghi anni. É infatti soltanto questo mese che il vincolo del segreto è venuto meno e abbiamo finalmente potuto conoscere la tragica portata di questa vicenda.
Ma che cos’è il Segreto di Stato? Si tratta di un vincolo giuridico che determina l’esclusione di una notizia dalla divulgazione, ponendo delle sanzioni verso chiunque violi a riguardo il vincolo del silenzio. Una pratica che, nonostante entri pesantemente in conflitto con i fondamentali diritti civili garantiti da tutte le costituzioni dei paesi civili (come ad esempio la libertà di informazione, il diritto alla sicurezza, alla salute e alla difesa dei cittadini), viene applicata con sempre maggiore frequenza, offendendo in tal modo la dignità e l’intelligenza di interi popoli.
Il Segreto di Stato, inoltre, è uno dei pochi atti legittimi di competenza di governi o parlamenti che non possiede i requisiti di generalità e universalità propri delle leggi, e che al contrario riguarda singoli fatti e persone, che sono tipicamente ambiti di azione di altri soggetti come la magistratura e la stampa. Può consistere nel divieto di pubblicare determinate informazioni, o di prendere visione di documenti, oggetti, luoghi o persone che portino a conoscenza di informazioni riservate. E può essere deliberato in via preventiva, senza atti in corso che comportino questo tipo di rischi, ovvero a seguito di una richiesta formale a procedere da parte della magistratura, o nel corso di indagini di polizia o di inchieste giornalistiche.
Tale obbligo di non divulgazione viene posto su una determinata notizia tramite una procedura avente valore di principio fondamentale costitutivo e riguardante un numero finito di informazioni la cui divulgazione potrebbe costituire limitazione di sovranità nazionale o della sicurezza di popolazioni civili e di risorse.
In Italia, oltre ad essere tutti schedati, controllati e intercettati come in pochi altri paesi al mondo, siamo anche vittime di una sistematica occultazione della verità su tutte le questioni più rilevanti, con l’indiscriminata applicazione del Segreto di Stato, una abominevole pratica che è stata applicata anche in merito alle dichiarazioni di Carmine Schiavone, che, verbalizzate nel 1993, vennero secretate dal primo Governo Prodi nel 1997, rimanendo tali per sedici lunghi anni. É infatti soltanto questo mese che il vincolo del segreto è venuto meno e abbiamo finalmente potuto conoscere la tragica portata di questa vicenda.
Ma che cos’è il Segreto di Stato? Si tratta di un vincolo giuridico che determina l’esclusione di una notizia dalla divulgazione, ponendo delle sanzioni verso chiunque violi a riguardo il vincolo del silenzio. Una pratica che, nonostante entri pesantemente in conflitto con i fondamentali diritti civili garantiti da tutte le costituzioni dei paesi civili (come ad esempio la libertà di informazione, il diritto alla sicurezza, alla salute e alla difesa dei cittadini), viene applicata con sempre maggiore frequenza, offendendo in tal modo la dignità e l’intelligenza di interi popoli.
Il Segreto di Stato, inoltre, è uno dei pochi atti legittimi di competenza di governi o parlamenti che non possiede i requisiti di generalità e universalità propri delle leggi, e che al contrario riguarda singoli fatti e persone, che sono tipicamente ambiti di azione di altri soggetti come la magistratura e la stampa. Può consistere nel divieto di pubblicare determinate informazioni, o di prendere visione di documenti, oggetti, luoghi o persone che portino a conoscenza di informazioni riservate. E può essere deliberato in via preventiva, senza atti in corso che comportino questo tipo di rischi, ovvero a seguito di una richiesta formale a procedere da parte della magistratura, o nel corso di indagini di polizia o di inchieste giornalistiche.
Tale obbligo di non divulgazione viene posto su una determinata notizia tramite una procedura avente valore di principio fondamentale costitutivo e riguardante un numero finito di informazioni la cui divulgazione potrebbe costituire limitazione di sovranità nazionale o della sicurezza di popolazioni civili e di risorse.
Il
segreto può riguardare fatti di natura militare, civile o politica.
Secondo alcuni critici la segretezza dei documenti può ledere il diritto
di cronaca dei giornalisti e il diritto d’informazione dei cittadini,
così come le sanzioni per chi entra in possesso di taluni documenti e li
pubblica, possono tradursi in una forma di censura che lede la libertà
di stampa.
Per contro i suoi sostenitori argomentano che in certi casi pubblicare alcune informazioni potrebbe causare danni di portata ben più vasta rispetto all’occultamento stesso, e che quindi il segreto di stato sia una pratica da usare con parsimonia, ma talvolta necessaria.
In Italia il Codice Penale considera due livelli di segreto: segreto in senso proprio e vietata divulgazione.
Mentre il segreto militare è stato regolamentato già nel 1941 dal Regio Decreto n. 1161 a firma di Vittorio Emanuele III° e Benito Mussolini, il Segreto di Stato è stato formalmente introdotto dalla legge n. 801 del 24 Ottobre 1977 (“Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del Segreto di Stato”) e successivamente perfezionato da due decreti ministeriali (il D.M. 1406/1995 n. 519 per la Difesa e il D.P.C. 1003/1999 n. 294 per i Servizi Segreti) e, infine, dalla legge n. 124 del 3 Agosto 2007 (“Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”), che, ispirata da proposte di Giuseppe Cossiga, ridisciplinò radicalmente le funzioni specifiche dei singoli addetti, precisandone le responsabilità funzionali.
Per contro i suoi sostenitori argomentano che in certi casi pubblicare alcune informazioni potrebbe causare danni di portata ben più vasta rispetto all’occultamento stesso, e che quindi il segreto di stato sia una pratica da usare con parsimonia, ma talvolta necessaria.
In Italia il Codice Penale considera due livelli di segreto: segreto in senso proprio e vietata divulgazione.
Mentre il segreto militare è stato regolamentato già nel 1941 dal Regio Decreto n. 1161 a firma di Vittorio Emanuele III° e Benito Mussolini, il Segreto di Stato è stato formalmente introdotto dalla legge n. 801 del 24 Ottobre 1977 (“Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del Segreto di Stato”) e successivamente perfezionato da due decreti ministeriali (il D.M. 1406/1995 n. 519 per la Difesa e il D.P.C. 1003/1999 n. 294 per i Servizi Segreti) e, infine, dalla legge n. 124 del 3 Agosto 2007 (“Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”), che, ispirata da proposte di Giuseppe Cossiga, ridisciplinò radicalmente le funzioni specifiche dei singoli addetti, precisandone le responsabilità funzionali.
La
legge stabilisce che il Segreto di Stato debba decadere dopo 15 anni;
tale termine può essere prorogato dal Presidente del Consiglio (o dalle
altre autorità competenti), ma non può mai superare i 30 anni. Sappiamo
benissimo però che esistono casi, come ad esempio quello del disastro di
Ustica, sui quali il segreto persiste ad oltranza, in spregio quindi
non solo alle leggi stesse di questo Stato, ma anche alla sete di verità
e giustizia dei parenti delle vittime.
Un ulteriore giro di vite sulla repressione e l’occultamento delle verità scomode è stato dato il 16 Aprile 2008, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 Aprile, che definisce gli “interessi supremi da difendere con il Segreto di Stato”: “l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati [Usraele esclusi] e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato”.
La Corte Costituzionale, con una sentenza dell’11 Marzo 2009 (n. 106), si è pronunciata escludendo il sindacato giurisdizionale sull’individuazione delle notizie che possano costituire Segreto di Stato, pronunzia che è stata definita “scandalosa” da molti costituzionalisti.
Secondo la Corte, “l’individuazione degli atti, dei fatti, delle notizie che possono compromettere la sicurezza dello Stato e che devono rimanere segreti” costituisce il risultato di una valutazione “ampiamente discrezionale”. Deve pertanto escludersi ogni sindacato giurisdizionale, in quanto “è inibito al potere giurisdizionale di sostituirsi al potere esecutivo e alla pubblica amministrazione, e di operare il sindacato di merito sui loro atti”. L’esercizio del potere di secretazione sarebbe quindi assoggettato al solo Parlamento, “sede normale di controllo nel merito delle più alte e più gravi decisioni dell’esecutivo”, attraverso il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir, già Copaco).
Con la stessa pronuncia, la Corte Costituzionale ha esteso anche agli agenti indagati quanto previsto dall’art. 41 della legge 124/2007, ossia che “ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio è fatto divieto di riferire riguardo a fatti coperti da segreto di Stato”, permettendo così a Marco Mancini di evitare il giudizio in riferimento allo scandalo “Telecom-SISMI”.
Un ulteriore giro di vite sulla repressione e l’occultamento delle verità scomode è stato dato il 16 Aprile 2008, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 Aprile, che definisce gli “interessi supremi da difendere con il Segreto di Stato”: “l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati [Usraele esclusi] e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato”.
La Corte Costituzionale, con una sentenza dell’11 Marzo 2009 (n. 106), si è pronunciata escludendo il sindacato giurisdizionale sull’individuazione delle notizie che possano costituire Segreto di Stato, pronunzia che è stata definita “scandalosa” da molti costituzionalisti.
Secondo la Corte, “l’individuazione degli atti, dei fatti, delle notizie che possono compromettere la sicurezza dello Stato e che devono rimanere segreti” costituisce il risultato di una valutazione “ampiamente discrezionale”. Deve pertanto escludersi ogni sindacato giurisdizionale, in quanto “è inibito al potere giurisdizionale di sostituirsi al potere esecutivo e alla pubblica amministrazione, e di operare il sindacato di merito sui loro atti”. L’esercizio del potere di secretazione sarebbe quindi assoggettato al solo Parlamento, “sede normale di controllo nel merito delle più alte e più gravi decisioni dell’esecutivo”, attraverso il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir, già Copaco).
Con la stessa pronuncia, la Corte Costituzionale ha esteso anche agli agenti indagati quanto previsto dall’art. 41 della legge 124/2007, ossia che “ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio è fatto divieto di riferire riguardo a fatti coperti da segreto di Stato”, permettendo così a Marco Mancini di evitare il giudizio in riferimento allo scandalo “Telecom-SISMI”.
Da
Ustica fino alle scie chimiche, passando per le vicende dell’Italicus,
di Abu Omar e Niccolò Pollari, non è facile reperire una lista completa
ed esaustiva di tutti i casi in cui il Segreto di Stato è stato imposto
negli ultimi decenni dai vari Governi che si sono succeduti, ma devo
rilevare che Silvio Berlusconi ha battuto ogni record, intensificando
come non mai l’uso di questa vergognosa pratica, arrivando
all’imposizione del Segreto di Stato persino sui lavori della sua villa
privata in Sardegna (Villa Certosa).
L’utilizzo estensivo del Segreto di Stato in particolare durante il Governo Berlusconi IV ha sollevato numerose critiche, fra cui quelle di Felice Casson, secondo il quale “è invalso un uso esagerato e non corretto dell’apposizione del Segreto di Stato”, e si dimenticherebbero “gli interessi costituzionalmente protetti in gioco: l’accertamento della verità su fatti gravissimi e l’esercizio della giurisdizione”. “Il messaggio che passa – sempre secondo Casson – è che i servizi segreti possono fare quello che vogliono, tanto poi possono appellarsi al segreto e tutto finisce lì”.
Ho voluto fare un po’ di cronistoria, certo comunque di non avervi annoiati, per poter adesso focalizzare meglio l’attenzione sulla vicenda campana dei rifiuti tossici e per capire come è stato possibile che le dichiarazioni rilasciate da Carmine Schiavone durante l’audizione alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse siano state secretate, e quindi tenute deliberatamente nascoste all’opinione pubblica, per ben 16 anni.
Chi, e soprattutto perché, sono stati i responsabili di questo criminale occultamento della verità che è costato la vita, in tutto questo tempo, a migliaia di ignari cittadini morti di cancro per aver continuato a risiedere nelle aree contaminate e per aver continuato a nutrirsi dei frutti di quelle martoriate terre?
Giampaolo Rossi, in un suo coraggioso articolo appena pubblicato sul blog di informazione indipendente Wilditaly, ha fatto nomi e cognomi, individuando i principali responsabili del secretamento di questa gravissima vicenda. Persone che erano ai vertici delle istituzioni e, soprattutto, nei ruoli chiave che hanno riguardato le questioni giudiziarie di quel periodo e, inevitabilmente, anche le dichiarazioni di Schiavone. Personaggi che sapevano, o che comunque “non potevano non sapere” e che hanno deliberatamente preso la decisione di non parlare, di nascondere all’opinione pubblica quello che forse è il peggiore disastro ambientale della storia italiana e di tacere informazioni che erano indispensabili per proteggere la salute delle persone residenti nelle zone contaminate da micidiali rifiuti tossici e radioattivi.
Ebbene, l’audizione di Carmine Schiavone risale al 7 Ottobre del 1997. Il Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta era Massimo Scalia, allora Deputato del Gruppo Misto. I membri della Commissione, presenti all’audizione del boss erano: Gianfranco Saraca (Forza Italia), Giovanni Lubrano Di Ricco (Verdi-Ulivo), Roberto Napoliu (Cristiani Democratici) e Giuseppe Specchia (Alleanza Nazionale).
Presidente della Repubblica era in quel momento Oscar Luigi Scalfaro. Presidente del Consiglio era Romano Prodi e Segretario del Consiglio dei Ministri era Enrico Luigi Micheli. Al Ministero dell’Interno sedeva Giorgio Napolitano (in carica dal 17 Maggio 1996 al 21 Ottobre 1998), mentre Giovanni Maria Flick occupava il Ministero di Grazia e Giustizia. Edoardo Ronchi era il Ministro dell’Ambiente, e Presidente della Corte Costituzionale era in quei giorni Renato Granata. Vice Presidente del Consiglio era Walter Veltroni, mentre alla Presidenza della Camera e del Senato sedevano rispettivamente Luciano Violante e Nicola Mancino.
Non c’è che dire: proprio una bella compagnia! Questi sono, come rileva Giampaolo Rossi, i nomi dei personaggi che hanno deciso, favorito (o comunque non impedito) l’imposizione del Segreto di Stato.
Rossi non è stato in grado di individuare con certezza chi fosse in quel momento il Direttore del COPACO, il Comitato che ha preceduto il COPASIR, nato nel 2007, ma ci dimostra comunque chi fosse in quel momento il Segretario Generale del CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza): Francesco Berardino.
La maggior parte di questi personaggi rivestono tutt’oggi ruoli di primo piano nella politica italiana e nelle istituzioni della Repubblica.
In un paese “normale” avrebbero avuto almeno la dignità di dimettersi, prima di finire magari sotto processo. In paesi come la Cina difficilmente avrebbero evitato il plotone di esecuzione.
In Italia, dove invece tutto è consentito, purché avvenga alla faccia del Popolo, il silenzio regna sovrano. Ma si tratta di un silenzio assordante, un silenzio mortale, come le esalazioni che emanano dal sottosuolo nelle zone contaminate dai Casalesi.
L’utilizzo estensivo del Segreto di Stato in particolare durante il Governo Berlusconi IV ha sollevato numerose critiche, fra cui quelle di Felice Casson, secondo il quale “è invalso un uso esagerato e non corretto dell’apposizione del Segreto di Stato”, e si dimenticherebbero “gli interessi costituzionalmente protetti in gioco: l’accertamento della verità su fatti gravissimi e l’esercizio della giurisdizione”. “Il messaggio che passa – sempre secondo Casson – è che i servizi segreti possono fare quello che vogliono, tanto poi possono appellarsi al segreto e tutto finisce lì”.
Ho voluto fare un po’ di cronistoria, certo comunque di non avervi annoiati, per poter adesso focalizzare meglio l’attenzione sulla vicenda campana dei rifiuti tossici e per capire come è stato possibile che le dichiarazioni rilasciate da Carmine Schiavone durante l’audizione alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse siano state secretate, e quindi tenute deliberatamente nascoste all’opinione pubblica, per ben 16 anni.
Chi, e soprattutto perché, sono stati i responsabili di questo criminale occultamento della verità che è costato la vita, in tutto questo tempo, a migliaia di ignari cittadini morti di cancro per aver continuato a risiedere nelle aree contaminate e per aver continuato a nutrirsi dei frutti di quelle martoriate terre?
Giampaolo Rossi, in un suo coraggioso articolo appena pubblicato sul blog di informazione indipendente Wilditaly, ha fatto nomi e cognomi, individuando i principali responsabili del secretamento di questa gravissima vicenda. Persone che erano ai vertici delle istituzioni e, soprattutto, nei ruoli chiave che hanno riguardato le questioni giudiziarie di quel periodo e, inevitabilmente, anche le dichiarazioni di Schiavone. Personaggi che sapevano, o che comunque “non potevano non sapere” e che hanno deliberatamente preso la decisione di non parlare, di nascondere all’opinione pubblica quello che forse è il peggiore disastro ambientale della storia italiana e di tacere informazioni che erano indispensabili per proteggere la salute delle persone residenti nelle zone contaminate da micidiali rifiuti tossici e radioattivi.
Ebbene, l’audizione di Carmine Schiavone risale al 7 Ottobre del 1997. Il Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta era Massimo Scalia, allora Deputato del Gruppo Misto. I membri della Commissione, presenti all’audizione del boss erano: Gianfranco Saraca (Forza Italia), Giovanni Lubrano Di Ricco (Verdi-Ulivo), Roberto Napoliu (Cristiani Democratici) e Giuseppe Specchia (Alleanza Nazionale).
Presidente della Repubblica era in quel momento Oscar Luigi Scalfaro. Presidente del Consiglio era Romano Prodi e Segretario del Consiglio dei Ministri era Enrico Luigi Micheli. Al Ministero dell’Interno sedeva Giorgio Napolitano (in carica dal 17 Maggio 1996 al 21 Ottobre 1998), mentre Giovanni Maria Flick occupava il Ministero di Grazia e Giustizia. Edoardo Ronchi era il Ministro dell’Ambiente, e Presidente della Corte Costituzionale era in quei giorni Renato Granata. Vice Presidente del Consiglio era Walter Veltroni, mentre alla Presidenza della Camera e del Senato sedevano rispettivamente Luciano Violante e Nicola Mancino.
Non c’è che dire: proprio una bella compagnia! Questi sono, come rileva Giampaolo Rossi, i nomi dei personaggi che hanno deciso, favorito (o comunque non impedito) l’imposizione del Segreto di Stato.
Rossi non è stato in grado di individuare con certezza chi fosse in quel momento il Direttore del COPACO, il Comitato che ha preceduto il COPASIR, nato nel 2007, ma ci dimostra comunque chi fosse in quel momento il Segretario Generale del CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza): Francesco Berardino.
La maggior parte di questi personaggi rivestono tutt’oggi ruoli di primo piano nella politica italiana e nelle istituzioni della Repubblica.
In un paese “normale” avrebbero avuto almeno la dignità di dimettersi, prima di finire magari sotto processo. In paesi come la Cina difficilmente avrebbero evitato il plotone di esecuzione.
In Italia, dove invece tutto è consentito, purché avvenga alla faccia del Popolo, il silenzio regna sovrano. Ma si tratta di un silenzio assordante, un silenzio mortale, come le esalazioni che emanano dal sottosuolo nelle zone contaminate dai Casalesi.
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